MARCHIO DOP MARCHIO IGP ETICHETTATURA PRODOTTI AGROALIMENTARI DENOMINAZIONI INGANNEVOLI
DOP, IGP… OCCHIO ALL’ETICHETTA
Il palato ha bisogno, per il proprio piacere, di esperienze diverse, e poi di rassicuranti ritorni laddove ha “memorizzato” gusti piacevoli, sensazioni degne di essere ripetute, approfondite, rese sempre più familiari, personali, proprie.
Il palato non viaggia da solo. Porta con sè collegamenti di immaginazione, conoscenza e cultura, che fanno di ogni assaggio lo stimolo di più sensi, non solo del gusto, o dell’olfatto. Così, mentre mangiamo, pensiamo… cerchiamo di “impossessarci” di ciò che stiamo assaggiando, chiedendoci chi lo ha fatto, quando, dove, come. Se ci farà bene, se è migliore o peggiore di altro che già abbiamo sperimentato… e perchè.
E ci piace raccontare a noi stessi a agli altri che sono a tavola con noi, quello che abbiamo indagato e capito, ci piace discuterne con loro, alimentandoci così anche di un cibo “pensato” e “parlato” che è privilegio di ogni intelligenza curiosa e vivace.
E il punto di arrivo di questa alimentazione culturale finisce con essere sempre lo stesso, l’uomo che, chissà quando e chissà dove, ha coltivato una pianta, allevato un animale, e poi ne ha fatto un cibo, spinto da esigenze per noi oggi tanto lontane, eppure essenziali per la “creazione” di ciò che stiamo gustando. Esigenze di nutrirsi, di ottenere il massimo dalla terra in cui ha vissuto, di non sprecare nulla perchè “allora” non era come “oggi” e certi lussi non ci si poteva permetterseli, e di conservare nel tempo il frutto della propria fatica, senza il frigorifero, senza il sottovuoto, con i limitati mezzi che l’esperienza, via via, ha permesso di scoprire e poi la scienza ha potuto confermare.
Si approda dunque, sempre, a un “quando” (e quindi a una tradizione, a un’ epoca storica, a un contesto sociale) e a un “dove” (e quindi a un territorio, al suo clima, alle sue caratteristiche morfologiche).
Ancora oggi sono questi i richiami culturali più potenti che danno “personalità” ad un prodotto alimentare, sono questi i punti di riferimento su cui si basa la certificazione della sua tipicità, questi i temi che, fondati o no, si cerca di proporre al consumatore per attrarlo.
Fondati o no… Il senso dei riconoscimenti DOP e IGP sta proprio nel certificare la fondatezza del collegamento fra un determinato prodotto e il suo territorio, la sua tradizione, in modo che al nome del prodotto corrisponda realmente un determinato mix di gusto e cultura. E il senso di alcuni messaggi pubblicitari di fantasia, non è diverso, a conferma del fatto che anche gli addetti ai lavori, gli esperti di comunicazione, riconoscono nel territorio di provenienza e nella sua tradizione il richiamo più convincente e rassicurante per dare preferenza ad un determinato prodotto.
Occorre, come consumatori, essere ben consapevoli di questo, per difendersi dall’insidia di messaggi fantasiosi e ingannevoli, per riconoscere con certezza il vero dal falso, il simile dall’autentico. Le leggi che vietano di confondere il consumatore esistono e sono via via sempre più incisive, ma ancora non arrivano ad assicurare una protezione assoluta dai messaggi fuorvianti. Bisogna dunque “aiutarle” con comportamenti di acquisto attenti e responsabili.
Innanzitutto non lasciandosi suggestionare da messaggi pubblicitari di pura fantasia, che evocano immagini di antica tradizione per promuovere prodotti ottenuti in grandi stabilimenti industriali, acquistando le materie prime sul mercato mondiale, senza alcun reale collegamento con le immagini pubblicitarie con cui vengono presentati. Sono prodotti certamente affidabili sotto il profilo igienico, sono anche buoni, li acquistiamo e consumiamo tutti… ma non dobbiamo confonderli in alcun caso con prodotti del territorio, della tradizione, realmente tipici. Solo quando l’etichetta dichiari esplicitamente che si fregiano di un riconoscimento d’origine, che la materia prima ha una ben precisa provenienza, possiamo considerarli “tipici”.
Dobbiamo poi fare attenzione ai nomi di aziende di produzione alimentare che richiamano un determinato territorio appunto noto per la qualità di quel determinato prodotto. Non di rado l’etichetta ci fa capire che a quel nome e a qual luogo non corrisponde affatto al sede di produzione, nè vi è alcuna dichiarazione che il prodotto è stato ottenuto da materia prima agricola proveniente da là.
E che dire dell’uso disinvolto del formato dei caratteri di stampa, per cui leggiamo in tutta evidenza il nome di una determinata località, per poi scoprire, scritto molto più piccolo immediatamente prima, “lavorazione tipo…”. Crediamo di aver acquistato un prodotto tipico, un prodotto ottenuto in un determinato territorio, da allevamenti e coltivazioni locali, seguendo le lavorazioni tradizionali della zona, e invece è soltanto una imitazione.
Basta solo un po’ di attenzione per non essere indotti in errore! Attenzione, innanzitutto al marchio DOP, che certifica esclusivamente prodotti integralmente ottenuti e confezionati nel territorio d’origine dichiarato. Oppure al marchio IGP, che “dice” sinceramente che non tutto il processo produttivo è legato alla zona d’origine dichiarata, ma lo sono le fasi più importanti, quelle che danno al prodotto il suo carattere peculiare. Poi, se siete appassionati di agriturismo, potrete certificare da voi il prodotto che acquistate, facendovi consigliare da persone di fiducia, andando voi stessi a conoscere il produttore, anticipando magari quello che fra qualche anno sarà un prodotto riconosciuto DOP o IGP.